Con la pronuncia in oggetto la Quarta Sezione presso il Tribunale di Catania è stata chiamata a pronunciarsi in merito all’opposizione promossa dalla società correntista, e dai suoi garanti, avverso il Decreto Ingiuntivo richiesto (e ottenuto) dall’istituto bancario per il recupero del credito sorto in forza di rapporti di conto corrente, conto anticipi e apertura di credito.
Tra i vari motivi addotti a sostegno della spiegata opposizione, la correntista e i garanti hanno eccepito anche l’illegittima applicazione di anatocismo da parte della Banca nello svolgimento dei rapporti oggetto di causa.
Nel rigettare l’opposizione, quindi, il Giudice ha avuto modo di soffermarsi sulla pratica anatocistica in ambito bancario, ripercorrendone l’evoluzione giurisprudenziale (anche alla luce della normativa intervenuta sul punto) e fornendo un quadro degli elementi volti a verificarne la legittima applicazione, o meno.
Per com’è noto, argomenta il Tribunale, la problematica della c.d. capitalizzazione degli interessi è stata al centro di un deciso revirement della giurisprudenza dato che, per lunghi anni, il Supremo Collegio aveva costantemente ritenuto che in materia sussistessero usi normativi idonei a consentire, in deroga all’art.1283 c.c., l’anatocismo nei rapporti bancari, nella forma della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal Cliente alla Banca. Senonché, con la sentenza della Cassazione Civile, Sez.I, n.2374/1999 (orientamento poi rapidamente consolidatosi), la Suprema Corte, rivedendo il precedente indirizzo, ha negato la natura normativa degli usi in materia bancaria che consentivano di garantire la legittimità dell’anatocismo bancario (in particolare della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alla Banca dal Cliente), in deroga alla regola generale sancita dall’art.1283 c.c., e conseguentemente ritenuto la nullità delle clausole bancarie che prevedevano gli interessi anatocistici.
A tale orientamento, del resto, si è conformato il Tribunale di Catania seguendo in numerose sentenze l’iter argomentativo già tracciato dalla Suprema Corte, poiché:
- è incontroverso che solo gli usi normativi possono consentire una deroga al divieto dell’anatocismo sancito dall’art.1283 c.c.;
- le cosiddette norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, predisposte dall’ABI (per la prima volta con effetto dall’1/1/1952) – nella parte in cui dispongono che i conti che risultino anche saltuariamente debitori siano regolati ogni trimestre e che con la stessa cadenza cosicché gli interessi scaduti producano ulteriori interessi – non attestano l’esistenza di una vera e propria consuetudine concretandosi in mere prassi negoziali cui non può riconoscersi efficacia di fonti di diritto obiettivo, se non altro per l’evidente difetto dell’elemento soggettivo della consuetudine;
- dalla comune esperienza emerge che l’inserimento di clausole prevedenti la capitalizzazione degli interessi ogni tre mesi a carico del cliente (e ogni anno a carico della banca) è acconsentito da parte dei Clienti non in quanto esse siano ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell’Associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari; atteggiamento psicologico, questo, ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio iuris ac necessitatis se non altro per l’evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente;
In definitiva, in virtù del richiamato orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Tribunale etneo, si è ritenuto che “…la capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’ABI nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla opinio iuris ac necessitatis…” (Cassazione Civile, Sez.III, n.3096/1999).
Fatte tali premesse, il Giudice ha, altresì, rilevato come, per il periodo successivo a luglio 2000, il dato normativo ha consentito la legittimità di una capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, ma solo a condizione che detta periodicità fosse riconosciuta anche per gli interessi attivi. E invero:
- il novellato art.120 T.U.B. ha ribadito la validità dell’anatocismo bancario, alla condizione della medesima periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori, demandando al CICR l’incombente della determinazione delle modalità e dei criteri per la produzione degli interessi sugli interessi nelle operazioni di finanziamento attuate nel settore bancario;
- il CICR, con delibera 9/2/2000, ha stabilito che potesse trovare applicazione la periodizzazione trimestrale degli interessi, purché reciproca (tanto su quelli debitori che su quelli creditori), a condizione che la stessa fosse prevista in contratto;
- parte dell’art.25, comma 3, del D.Lgs. n.342/1999 che ha novellato, per come detto, l’art.120 T.U.B. è stato travolto dalla dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega (Corte Costituzionale n.425/2000).
Ciò posto, il Tribunale di Catania ha respinto la doglianza sollevata sul punto dagli opponenti rilevando come i contratti oggetto di causa fossero tutti posteriori alla delibera CICR 9/2/2000 e come gli stessi recassero la pattuizione scritta della capitalizzazione reciproca degli interessi sia attivi che passivi.
Contributo da parte dell’Avv. Marcello Bonaventura.
Il testo integrale della sentenza: Tribunale Catania sentenza 4287_2018